Con l’avvento del web 2.0 e dei social media non è solo il mondo del marketing a cambiare, verso paradigmi più relazionali e open. Tutto il settore della comunicazione è oggetto di una profondarivoluzione che trasforma le logiche, i contenuti e gli stessi attori.
In linea con la ragione di questo spazio digitale e nell’obiettivo di continuare a raccontarvi quali sono alcune delle professioni del futuro più interessanti su cui cominciare a ragionare, abbiamo intercettato un’ospite di eccezione, Erika de Bortoli. Consulente, formatrice, project manager, blogger e molto altro ancora: Erika rappresenta un professionista davvero brava e poliedrico, un bell’esempio di personal branding efficace tutto italiano, e siamo convinti che il suo contributo potrà essere davvero valido per chi aspira a lavorare nella comunicazione.
Buongiorno Erika! Cominciamo con una tua presentazione ai nostri lettori ed agli amici dell’Academy e delle professioni del web.
Buongiorno ai lettori! Sono una giornalista pubblicista che negli ultimi anni si è interessata in modo crescente di web, giornalismo sociale ed enogastronomia.
Mi sono laureata in Musicologia a Cremona nel 2005. Ma già allora, prima ancora e sempre più mi è stato chiaro che avrei voluto occuparmi di Comunicazione. La passione per la scrittura mi accompagna dal liceo e ha svolto il ruolo di propulsore e guida in tale percorso.
Negli anni mi sono occupata di marketing, organizzazione eventi, ufficio stampa, svolgendo anche il ruolo di commerciale e business developer. Ho poi collaborato con alcune testate giornalistiche nelle diverse città in cui mi trovavo, principalmente a Cremona e Venezia: Corriere Veneto, La Cronaca, Gazzettino, La Voce.
Così come non ho smesso di seguire corsi di scrittura, comunicazione e dintorni. Per passione, per crescere professionalmente e per aggiornarmi. Per esempio il corso di giornalismo e scrittura narrativa della Leconte Editore, uno stage con Jazzit, un corso di scrittura creativa di Scrittura.org e altri ancora. In tutto ciò ho maturato la convinzione che soltanto un approccio etico a molte cose avrebbe dato loro un senso. Il business di per sé non mi poteva e non mi può bastare.
Oggi mi occupo di comunicazione online, come consulente, docente e project manager per alcuni clienti o corsi di formazione. E il senso delle cose continua a restare una priorità.
Davvero interessante. E nello specifico come sei entrata in contatto con il web e il ‘mondo’ dei social network?
Per lavoro e per gioco. Al web mi sono avvicinata collaborando con due aziende del settore. Nella prima si occupano principalmente di e-mail marketing e li reputo bravissimi. La seconda si occupa di comunicazione online e anche qui ho conosciuto un giovane che nel suo lavoro è molto bravo.
Ai social invece mi sono avvicinata per gioco, anche con un certo sospetto, dettato da riservatezza e timidezza, su sollecitazione di un amico. Poi mi ci sono appassionata. Ho iniziato a leggere post, chiedere e osservare, acquistare libri, cimentarmi in prima persona e conoscere influencer.
Parliamo specificamente di una professione a te vicina: in che modo il digital ha cambiato il modo di fare giornalismo, informazione e in generale le logiche di produzione di contenuti?
Sono cambiate fonti e velocità con la quale le notizie vengono diffuse. Le fonti sono più numerose, meno “ufficiali” e meno “mediate”. Il giornalismo cartaceo è stato messo sotto scacco dall’online, il giornalismo tradizionale da quello partecipativo. Credo si debbano accettare lo stato delle cose e la pluralità dei contributi. Siamo la generazione che sta vivendo il cambiamento e dunque solo col tempo saremo in grado di valutare la situazione nella sua reale portata e dimensione.
Il principio della verifica delle fonti resta saldo. In questo il compito del giornalista risulta al tempo stesso agevolato e più complesso: i social diventano nuovi strumenti tramite i quali raccogliere informazioni, ma gli stimoli sono così tanti e rapidi da risultare comunque difficili da gestire.
Sicuramente veniamo a sapere cose che in passato ci sarebbero sfuggite e non è più tempo di mezze verità. Vedi esperienze come You Reporter, Global Voices, Open Journalist e altre analoghe. Ci vogliono, come sempre, serietà, professionalità, credo anche specializzazione per disporre di più strumenti possibili per valutare la bontà delle informazioni.
Al giornalista spetterà l’analisi dove il cittadino diventerà fonte diretta di notizie. Prendi l’Emilia. Laddove ciascuno twitta ciò che vive in prima persona al giornalista spetta cogliere l’ampiezza dei fenomeni, le stime complessive. O la primavera araba. Laddove una popolazione lancia un allarme o racconta esperienze dirette al giornalista spetta coglierle, organizzarle, interpretarle, dar loro voce. E non entro in polemiche sul ruolo di blogger, cittadini e giornalisti. Nessuno dice che un cittadino o un blogger non siano in grado di fare informazione e di farla bene. Solo il giornalista ha un ruolo, l’incarico e il tempo per svolgerlo.
Oggi poi il giornalista fa i conti con multimedialità e cross medialità, deve imparare a leggere e usare i social, a gestire un blog, a utilizzare determinati dispositivi e applicazioni. Cambiano i format, la periodicità e le scadenze. Si potrebbe parlare di servizi geolocalizzati e di offerta personalizzata come diutenza profilata. Oggi possiamo anche scegliere cosa e come sapere le cose, per quanto sia discutibile affidarsi a scelte altrui.
Si potrebbe poi parlare delle tecniche di scrittura online, di paragrafazione, titolazione, spazio potenzialmente infinito, scrittura ottimizzata per i motori di ricerca e di interazione con gli utenti. Il lettore ascolta meno, mentre chiede e conversa sempre di più.
Ci sarebbe anche il tema della versione online di alcune testate, fenomeno che a livello globale ha avuto le sue prime esperienze a fine anni ’80 e soprattutto agli inizi degli anni ’90. Forse superfluo dire che i primi tentativi furono fallimentari, in primis dal punto di vista economico. In Italia invece il fenomeno ha avuto inizio a metà degli anni ’90.
Non secondario, in tutto ciò, è il problema del sostentamento economico di testate e giornalisti. Altra questione ancora è la libertà di informazione, che di questi tempi è un tema caldo. Una testata che non può non vivere che di pubblicità o lettori come fa a non essere strumentalizzata?
E poi il conflitto tra audience e qualità dell’informazione. Puntare su grandi numeri o rivolgersi a una nicchia?
Ancora, a mio avviso, è più o meno vero che oggi tutto passa per il web, ma proprio per questo è necessario tornare in piazza. Non ci si può accontentare di ciò che transita per il web. Le redazioni che pensano di sopravvivere così sono destinate al fallimento. Ci vogliono inviati, vicini e lontani, che poi sappiano scrivere per il Web e cioè declinare l’informazione nel modo peculiare di ogni canale che il web offre.
Importante credo sia anche non limitarsi a scrivere, ma offrire dei servizi. Oggi i giornalisti devo reinventarsi ricollocandosi all’interno di una rete più ampia di professionisti, ognuno con le specifiche competenze. Scrivere non basta più. La scrittura deve essere un mezzo per veicolare altro. Un bell’esempio sono le iniziative della casa editrice Quintadicopertina che unisce, nel fare informazione, diverse figure professionali, tra le quali alcuni giornalisti. Credo oggi sia importante, in definitiva, maturare una mentalità progettuale, elaborare e presentare progetti.
Infine c’è chi dice che esistono solo due tipi di giornalismo, buono e cattivo e così solo due modi di farlo nel web! In tutto ciò non si dovrebbero perdere di vista lettori, cittadini e bontà, completezza, utilità sociale dell’informazione. Meglio rallentare a volte e offrire un servizio migliore.
A proposito, altro tema ‘caldo’ è sicuramente quello del rapporto tra contenuti e aziende: grazie anche al web 2.0 ci sono nuovi punti di contatto interessanti? Pensiamo per esempio al content marketing o al brand journalism…
Le parole brand e journalism mi sembrano in aperta contraddizione. Per il resto ogni utente cerca engagement, divertimento, risposte, emozione. Tutte cose che si veicolano con dei contenuti, siano essi testuali o audiovisivi. Anche un gioco alla fine contiene elementi narrativi, che hanno a che vedere coi contenuti e non meramente con tecnica o tecnologia. Dei contenuti utili, aggiornati ed efficaci aiutano senza dubbio un’azienda o un brand a posizionarsi, fidelizzare la propria base di utenti e allargare il proprio mercato.
Altri termini che afferiscono alla sfera del content marketing sono: newsletters, micrositi, webinar, tutorial e formazione online, che hanno a che vedere con creazione e distribuzione di contenuti. C’è poi l’editoria online: manuali e pubblicazioni. Infine due keywords che stanno vivendo la loro grande stagione sono storytelling e article marketing.
Non dimentichiamo infine il più tradizionale ufficio stampa online che però può sempre essere gestito con uno sguardo alle nuove tendenze.
In mezzo a tutti questi grandi cambiamenti, quali sono le caratteristiche e le competenze fondamentali di chi lavora sul web?
Prima di tutto competenze sui contenuti, quelle tecniche sono il meno. Poi bisogna studiare anche queste. Sapere come muoversi in blog e social; gestire software o applicazioni per rielaborare immagini, registrare o montare audio e video; nozioni base di web writing e SEO. Flessibilità e curiosità sono le parole chiave. Essere pronti alle novità.
Salutiamoci con un consiglio a chi si affaccia ora al mondo dei contenuti digitali.
Aprite un blog e mettetelo in relazione coi vostri account social. E’ un ottimo modo per fare esperienza, per guadagnare visibilità e soprattutto per capire ciò che amo ripetere: “Rem tene, verba sequentur”. Se non hai ancora qualcosa da dire è di questo che mi preoccuperei. Di questi tempi bisogna aver qualcosa da dire. Il mondo del lavoro richiede competenze, punti di vista, capacità di mettersi in gioco, concretezza e portfolio e idee.
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