Una nuova intervista per il blog della BEWE Academy, un nuovo protagonista del web: questa volta, però, ricambiamo prospettiva. Dopo aver ‘deviato’ sul rapporto tra social media e green marketing grazie alle esperienze di Irene Russo e Claudio Lacetera, in questo articolo abbiamo avuto il piacere di confrontarci con Stefano Schiavo, un professionista maggiormente attivo nel campo del social business.
Ne abbiamo allora approfittato per capire se alcune logiche del social media marketing resistono anche per progetti di questo tipo e per approfondire meglio il mondo dell’enterprise 2.0, da cui nascono servizi e progetti sempre più apprezzati e ricercati dalle aziende.
Il risultato? Un’intervista da non perdere… e una prospettiva di rottura sul futuro del web!
Ciao Stefano, e benvenuto sul nostro blog! Iniziamo con una tua presentazione ‘in pillole’.
Salve a tutti. Sono fondatore di Sharazad, una società che si occupa di social strategy. Ho lavorato come manager in aziende operanti nel design sviluppando progetti orientati al lean thinking, alla social enterprise, al design thinking. La formazione è ingegneristica e poi si è sviluppata attraverso unexecutive MBA. Faccio docenze in business school e accompagno l’attività imprenditoriale alla consulenza presso aziende su strategia, organizzazione, marketing.
E quale è il social network che preferisci?
Twitter, perché è asimmetrico e quindi è un formidabile strumento di conoscenza e crescita. Riesce ad attivare il confronto senza imporlo. In qualche modo, seguendo la distinzione di Sennett, attiva più il dialogo che la dialettica, l’empatia che la simpatia, nel senso che non costringe a diventare “amico” degli interlocutori. Alla fine anche in Facebook quel che amo di più è l’”incidente di percorso” che ti fa incontrare persone che non sono nella tua cerchia, e ciò avviene in modo quasi mai casuale come può sembrare… Poi amo le immagini e allora non posso non essere affascinato da Instagram o Pinterest… Mi piace inoltre l’idea di Quora in opposizione all’attuale modello enciclopedico di knowledge management.
Dalla tua prospettiva manageriale e imprenditoriale, quale è stata la portata del social web nei processi di comunicazione di aziende e brand?
Una portata enorme, ma solo come figlio di una cultura più diffusa e orientata al dialogo. Il web non permette troppi steccati morali o politici. E’ una tecnologia post-novecentesca perché esce da certe trappole ideologiche. In un modo o nell’altro l’estrema diffusione di idee e informazioni costringe a non mettere la testa sotto la sabbia. Il neotribalismo del web si accompagna a una forte capacità di spostarsi velocemente e contemporaneamente in tribù diverse attraverso un’appartenenza aperta che si manifesta anche nello spazio del lavoro. E’ uno strumento ideale per una cultura fondata sulla collaborazione. Una cultura profondamente orientata alle relazioni anche fisiche. Il web non isola, ma anzi attiva relazioni umane che, se interessanti, si sviluppano quasi sempre sul piano non virtuale. La televisione tende a isolare nella sua monodirezionalità e passività. I brand migliori hanno solo colto e sviluppato questa tendenza sociologica.
Quale è la piattaforma social su cui i clienti chiedono più spesso idee e progetti?
Ovviamente Facebook a causa della sua diffusione, ma devo dire che poi si innamorano spesso diTwitter. Molte aziende sono però interessate allo sviluppo di social interni, piattaforme collaborative tra dipendenti, fornitori, clienti, reti distributive. Comprendono facilmente le potenzialità dell’ascolto, del confronto trasversale, della sedimentazione dei processi decisionali. Capiscono quanto sia fondamentale oggi, per essere reattivi, flessibili, per trovare le giuste idee, creare corto circuiti tra le diverse aree aziendale, tra i diversi clienti, tra il mondo manifatturiero e quello dei servizi. Come dimostra l’esperienza che da poco abbiamo lanciato a Verona, The Fab, uno spazio in cui coesistono progetti di design, con professionalità legate al web e ai servizi, e attività produttive.
Con l’avvento del web 2.0, vincono solo i brand che…
… non si spaventano ad aprirsi alla collaborazione e al confronto. Che capiscono che le vecchie delimitazioni di competenze e responsabilità sono da rifiutare. L’intera organizzazione del business deve essere rivista alla luce di questa rivoluzione.
Da un punto di vista professionale, quali sono le competenze che un Social Media Manager ‘illuminato’ deve possedere?
La capacità di leggere le connessioni nascoste in ogni contenuto. La rapidità nell’attivare comportamenti. Una visione allargata e una buona cultura umanistica. Le attività di marketing devono essere orientate a un’estetica dell’incompiuto, unico modo per attivare le relazioni che fondano davvero la comunicazione.
Per concludere, uno sguardo al futuro: quale sarà la piattaforma, il trend del 2013?
Il social, inteso come tecnologia e web, come digitale e virtuale, perderà centralità diventando un supporto alla rinascita di una manifattura evoluta, secondo quanto raccontato da Stefano Micelli inFuturo Artigiano.
Leave A Comment