Questo blog non è assolutamente nato per caso, ma fin da subito come membri dello staff BEWE Academy dedicati alla redazione degli articoli ci siamo posti l’obiettivo di intervistare persone che, secondo il nostro punto di vista, si differenziano ‘dalla massa’ per qualcosa legato al social web: la notorietà, una prospettiva non convenzionale, la professionalità in ambito digitale.
Ivano Porpora si posiziona tra tutte queste caratteristiche e le rappresenta pienamente, e per questo abbiamo avuto l’idea – o meglio il piacere – di contattarlo per intervistarlo. Docente, letterato, blogger, autore, Ivano è molto conosciuto anche per il suo nuovo libro edito da Einaudi, “La Conservazione Metodica del Dolore” e si sta approcciando sempre di più al mondo del web e dei social network con unaprospettiva assolutamente originale.
Non aspettatevi dunque un’intervista comune né concetti scontati, ma una riflessione profonda su quello che il mondo 2.0 è attualmente e sarà in un futuro prossimo: ve la sentite? E allora, buona lettura!
Ciao Ivano, e grazie per essere intervenuto! Iniziamo con una domanda personale: cosa pensi dei social network?
Buongiorno a voi e ai lettori. Premesso che la mia conoscenza personale e continua dei social network si basa su quanto ho studiato, o appurato di persona, su Facebook, Twitter, Tumblr, Pinterest e CircleMe, oltreché altri più piccoli o di settore (e quindi non al mondo completo dei social network).
Questo è un concetto piuttosto elaborato, perché – parlo di un anno fa – lavoravo in una bella agenzia di comunicazione e abbiamo studiato i social network con l’idea di crearne uno piuttosto particolare, diciamo orientato al mercato. Purtroppo diversi motivi – il più gravoso dei quali quello economico – ci hanno impedito di portare avanti il progetto.
Detto questo, penso che i social network abbiano caratteristiche positive e caratteristiche negative, caratteristiche interessanti e caratteristiche sgradevoli. Sono partiti con l’idea – permettimi, tutt’altro che democratica – di dare un microfono in mano a tutti, permettendo solo a chi volesse di sentire. In realtà si sono inserite caratteristiche dell’agire sociale (mi riferisco in particolare al concetto Ci conosciamo quindi non puoi non darmi l’amicizia) che hanno snaturato questa idea iniziale, al punto che si sono dovuti introdurre filtri (mi riferisco in particolare a Facebook) per togliere l’amicizia senza toglierla – quindi non ricevendo più notifiche da parte di una persona senza che questa se ne accorgesse. Alla fine penso che i social network siano come una biblioteca ben fornita con una banda che suona al suo interno, bambini che corrono e si lanciano colori, gente che strepita. Per chi è capace sono un ottimo posto per leggere qualcosa di interessante, incontrare qualcuno di interessante o con cui difficilmente si sarebbe entrati in contatto e magari, nel settore storia locale, ritrovare qualcuno che si era perduto.
Ma le distrazioni sono infinite.
E rimanendo sempre sul personale, quale è il social network che ti piace di più, e perché?
Credo che non si sia ancora creato qualcosa di così vicino all’interesse che ricrea Facebook. Lo ritengoampiamente perfettibile, ma penso anche che sia il sistema di comunicazione forse non più adatto ai nostri tempi, ma quello che meglio li incarna.
Il fatto di non aver ancora inserito i dislike, per esempio – resistendo a tante sirene, e non so fino a quando – è stato un colpo di genio: le aziende, per esempio, lascerebbero Facebook per il timore di essere sommerse di Dislike da parte di concorrenti o di utenti furiosi per le campagne in favore del lavoro equo e del non sfruttamento dell’ambiente.
MySpace è stato invece un esempio di occasione persa, una bolla evidente anche nel momento di sua massima fortuna. Ho anche avuto un rapporto spiacevole con la policy di MySpace, che ha permesso a qualcuno di creare un profilo fittizio della mia persona senza che le mie proteste avessero alcun effetto.
Twitter ragiona in modo completamente diverso: laddove Facebook genera memoria – una memoria disordinata, incoerente, rigida, ma memore – Twitter è il flusso vero e proprio.
Per i miei usi preferisco ancora Facebook, ora che sono passato da un’idea del blog – quindi centrata al mio lavoro – all’idea dell’ascolto – quindi centrata al lavoro altrui (questo soprattutto perché le idee che una volta mettevo online ora per me son diventate idee che nel loro piccolo mi possono generare un introito economico, e quindi abbisognano di altri spazi di riflessione, altri tempi, altri momenti). Credo che ancora il social network perfetto non sia stato creato, e credo anche che a volte non si tratti di problemi economici ma di semplice analisi.
Un’altra occasione persa, per esempio, è CircleMe (ma non è questo il momento per parlarne, mi sa).
Più in generale credi che il web potrà diventare un reale strumento di formazione e trasferimento di conoscenza? Se sì, in quali piattaforme vedi più potenziale?
No. Non credo che lo diventerà: credo che lo sia. Credo che lo possa diventare di più, questo sì: la richiesta del mercato è tanto forte che quando si scavalcherà realmente il problema della lettura di testi online – e con realmente mi riferisco alla possibilità di leggere gratuitamente, o con piccole tariffe, giornali e riviste del giorno prima o del giorno stesso, e testi di più di 1000 parole – e quando si estenderanno memorie e capacità (capacità di supportare nel testo anche video e musica, per esempio) dei readers, allora le potenzialità saranno infinite.
Mi pare però che da questo nasca anche un problema. La grande capacità degli hard disk – e la sua incredibile riestensione attraverso il cloud – ha fatto sì che ognuno sia diventato disc jockey di se stesso e mentore di se stesso senza averne le possibilità, le caratteristiche, la formazione. Faccio un esempio. IMarlene Kuntz criticano chi scarica la loro musica sostenendo, tra le altre cose, che da quando la musica si scarica non si ascolta più musica attentamente. Io non sono affatto critico con il p2p, ma credo che questo aspetto sia da prendere in reale considerazione: della musica e dei film che avete sull’hard disk, quanta in percentuale è la produzione culturale di cui avete realmente fruito? E quanto, quindi, lo scaricamento inutile? Prima, quando si seguiva quello che se non erro si chiama il two-step flow, ogni passaggio culturale – o, perlomeno, quelli più importanti – era mediato da un referente. Lo è stato ilmaestro, lo è stato il critico cinematografico, il deejay; persino il libraio, il bibliotecario, a volte anche l’edicolante. Quando la condivisione saprà riportare a questo processo di passaggio, allora il processo di conoscenza diventerà a mio parere più sistematico.
Per quanto riguarda le sue piattaforme, sono piuttosto scoraggiato: finché l’Italia non sarà interamente cablata non ci saranno piattaforme degne di questo nome.
3 cose ‘stupide’ che leggi o trovi spesso sui social network…
35’ minuti fa Lorenzo Jovanotti ha scritto su Twitter: oggi mi nutrirò di pizzette ,ho deciso.
In una sola frase una banalità e un errore ortografico. L’hanno ritwittato in 72, finora; in 58 l’hanno messo come favorito.
Riepiloghiamo:
1. Una persona, solo perché famosa, crede di poter dire idiozie.
2. Una persona, solo perché ha necessità di scrivere un’urgenza – urgenza che leghiamo al punto 1) – si permette di scriverla senza rispettare la lingua che utilizza.
3. Questa idiozia sgrammaticata di cui al punto 1) viene ritenuta utile da un certo numero, non indifferente, di persone.
Fatto.
… e 3 cose intelligenti che ora è possibile fare grazie al social web.
Dunque.
Di cose intelligenti se ne possono fare molte; spesso dipende dall’intelligenza di chi le fa.
La prima è lavorare: i social network sanno essere uno straordinario mezzo di lavoro, e promozione. Vanno conosciuti, esattamente come chi gioca a scacchi deve prima impararne le regole, dalle più semplici alle più complesse. Ma come strumento di lavoro, e di veicolazione pubblicitaria del proprio lavoro, sono mezzi eccellenti – soprattutto se usati in sinergia tra loro.
La seconda è informare. Il processo di informazione credo abbia subìto un grave contraccolpo dall’avvento dei social network, e da questo urto – diciamo così – ne è uscito stravolto. Lo scrivere per 160 caratteri introduce difficoltà, e le difficoltà possono anche essere di stimolo. In fin dei conti la Commedia è scritta in endecasillabi; fosse stata in versi liberi non sarebbe stata di tale impatto.
La terza è conoscere. Senza i social network certe relazioni si sarebbero perse, altre non ci sarebbero state. E, come dice Alain De Botton, tutto o quasi – dalle tartine al caviale alle porcellane cinesi – è in qualche modo orientato al sesso. I social network servono anche per quello, e per la conoscenza interpersonale. E non è un male.
Concludiamo con una domanda verso il futuro: come vedi quello del web 2.0? Quali evoluzioni e involuzioni, sia lato piattaforme che utenti?
Tutto per me dipenderà dall’evoluzione delle infrastrutture. L’infrastruttura creerà realmente e appieno il web 2.0.
Detto questo, sarà il mercato consapevole che detterà le proprie esigenze, e il solo a sbancare sarà colui che saprà interpretarle, queste esigenze. Purtroppo molti aspetti meravigliosi del web – parlo soprattutto di quelli legati alla geolocalizzazione e alla realtà aumentata, che avvicinano molto alla teoria dei mercati primordiale, quella della trasparenza del prezzo – non sono aiutati né dalle policies dei prezzi(un telefono portatile con determinate caratteristiche costa ancora troppo), né dalle compagnie telefoniche, né dalla burocrazia. Né tantomeno dal mercato stesso: chi lavora con imprese e negozi sa quanta fatica si faccia a proporre servizi che siano legati a una differenziazione dalla vetrina standard e dalla pagina Facebook, spesso fatta a casa da mani inesperte…
Ripeto, e qui la chiudo, che l’informazione allargata la farà da padrona quando il sistema del p2p supererà gli ultimi problemi – hard disk pieni, linee rallentate – e si estenderà anche alla lettura di contenuti anche attraverso forme di pagamento facilitate.
In fin dei conti l’esempio di Napster dovrebbe ricordare alle major che una diga si può opporre a un certo quantitativo di acqua; poi crolla.
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